Ti farò pescatore di uomini… morti. Un tunisino, pescatore da sempre, raccoglie ora i corpi in mare dei migranti morti

Chamseddine Marzoug è commosso. Ha ancora dentro gli occhi l’orrore di quello che ha visto e vede a largo di Zarzis, villaggio della costa tunisina. A pochi passi c’è il confine con la Libia, più in là c’è la cittadina di Djerba. Ha fatto per una vita il pescatore su quelle coste il tunisino che ha raccontato, lo scorso 18 aprile, davanti ai giornalisti e ai deputati, nella conferenza stampa organizzata del gruppo parlamentare della Gue, a Strasburgo ciò che oggi si ritrova a fare suo malgrado.  Un mattino mentre era impegnato a raccogliere il pescato di una giornata avvistò alcuni corpi di uomini morti che galleggiavano: nessun nome, nessuna identità. Solo migranti a cui era andata male la traversata del Mediterraneo che li doveva portare dall’Africa all’Europa. Uno, due, tre corpi. Poco più avanti un bambino. Il primo giorno, il secondo giorno e poi così in mezzo a corpi che ritrovava sempre più spesso. “A Zarzis ho costruito il cimitero degli ignoti. Adesso è saturo. Non c’è più spazio. Sto chiedendo per una questione di umanità, un cimitero più grande e spazioso”. Cercava pesci Marzoug, oggi cerca i corpi morti dei poveri migranti che non sono riusciti ad attraversare il mare per dare loro quella degna sepoltura che nessuno gli ha dato. Il caso singolare e drammatico del pescatore di uomini morti è arrivato al Parlamento europeo. Marzoug Chamseddine è deciso:  “Capisco le frontiere  ma capisco meglio gli esseri umani. Ci vuole umanità nel trattare queste persone. Che scappano per avere un futuro migliore e finiscono in Libia, che è un mercato del bestiame con uomini, donne e bambini venduti: l’intera Africa viene bistrattata in Libia”.

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Sulla barca in mezzo al mare Marzoug trova sempre più spesso ciò che non vorrebbe trovare. Sono corpi di migranti di ogni età che galleggiano, alla deriva. Vivi, morti, qualche volta saltavi e lasciati in mezzo al mare da pezzi di legno e di fortuna grazie ai quali riesce a salvarli. Tante altre volte invece sono corpi privi di vita. Senza nome, senza più destinazione, senza qualcuno che può ancora cercarli e riuscire a trovarli. Sono i morti che non fanno più notizia, vittime dei flussi clandestini, viaggiatori sulle carrette del mare. Migliaia di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo e che non riuscono a rimanere vivi. Lui li raccoglie, li porta a riva, gli dà una degna sepoltura.

Si stima che in dieci anni ne abbia trovati a centinaia che ha portato tutti nel cimitero improvvisato che ha dovuto costruire. “Ho raccolto oltre 400 corpi”, spiega Chamseddine raccontando la sua vicenda assurda. Nei suoi occhi ci sono ancora i i ricordi nitidi dei suoi ritrovamenti: donne, uomini, bambini a cui il mare ha tolto la vita e li ha lasciati ancora a galla. Un racconto che i componenti del Parlamento europeo di Strasburgo ha ascoltato con attenzione e coinvolgimento. Si chiede “Che colpa avevano i bambini che ha ritrovato morti in mezzo al mare”. Si chiede e chiede ai parlamentari europei perché  “la vita li ha rifiutati” e soprattutto perché “noi non possiamo farlo”. Anzi “dobbiamo dargli una sepoltura dignitosa”. Le parole di Marzoug sono un pugno nello stomaco della inciviltà di un mondo che miete vittime in questo modo, in mezzo al mare dell’indifferenza, della speculazione politica di Stati e di partiti. Quasi una mimica quella di Marzoug quando sul canale che bagna la sede del Parlamento Ue a Strasburgo, ha ripetuto i gesti che compie quando si imbatte nel corpo di un migrante in mare raccogliendo dall’acqua un pupazzo che ha le sembianze di un bambino. Sono gesti che ha ripetuto tante volte sui corpi veri che ha ritrovato. Li ha puliti e preparati, secondo la tradizione tunisina, per deporli poi in una piccola bara bianca.

Una trafila che tocca a molti quando, dopo essere stati nei centri di detenzione libici, i migranti vengono affidati alle carrette del mare quasi certi che dopo pochi chilometri dalla costa della Libia potranno andare alla deriva, affondare, rischiare la vita, andare incontro alla morte o riuscire a salvarsi solo per fortuna spinti dalle correnti che li trascinano verso ovest. “L’anno scorso abbiamo raccolto 66 corpi, quest’anno 6”, racconta Marzoug il pescatore di uomini morti. “In questo periodo iniziano ad arrivare altri. I venti soffiano da sud e portano le barcacce verso le coste della Tunisia, dove spesso non ce la fanno a proseguire”. Chamseddine Marzoug è un testimone oculare della tragedia tutta moderna che ha fatto diventare, si stima, il Mediterraneo in un cimitero di migranti. Il gesto di pietà e di umana compassione che Marzoug porta avanti e ripete a iosa non ridarà la vita ai tanti migranti morti che ha raccolto, ma ridona un gesto di umana pietà che una degna sepoltura porta con sé.

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