Non parlate mai male dei vostri simili quando sono assenti. Vi spiego perché…
Che sia vita privata, lavorativa o familiare. Che siano colleghi, dipendenti della propria azienda, parenti stretti acquisiti o meno. Che siano amici a cui fate credere di essere leali: non fate mai una bella figura quando li criticate alle spalle denigrandoli e appellandoli con i peggiori aggettivi. Persino chi in quel momento raccoglierà il vostro sfogo si convincerà che “siete fatti così“. Che siete le peggiori persone. Quelle che parlano male in assenza e fingono bontà in presenza. Si chiama maldicenza e maldicente è chi parla male degli altri in loro assenza. Uno stile che fa’ sempre molto danno a chi lo ha e diventerà la prova, quando si parla di voi, della vostra rozzezza umana che la psicologia descrive molto accuratamente.
Li ho conosciuti e li conosco molto da vicino quelli che parlano alle spalle usando i peggiori aggettivi per denigrare chi in quel momento diventa il loro bersaglio. Li ho conosciuti e, molto probabilmente, li conoscete anche voi. E se c’è qualcuno tra chi mi legge che si riconoscerà in tale pratica (perché parla male degli altri alle loro spalle o perché è stato vittima di chi parla male) capirà, almeno auspico, quanto vale e quanto è importante cambiare stile ed abitudine di vita. Già. Perché per le dinamiche della psicologia relazionale chi parla male degli altri in loro assenza non ha un buon rapporto con se stesso, nasconde miseria umana, non ha un grado culturale tale da evitare questa cattivissima e diffusa pratica umana. Ci sono dentro tutti i legami umani e tutti i luoghi dove siamo. Dal posto dove si lavora alla propria famiglia, dai propri amici a semplici conoscenti: ovunque c’è sempre chi si sente così superiore agli altri da ritenersi in grado di dare giudizi negativissimi sugli altri e di darli “da lontano” ovvero in assenza del soggetto di cui si parla. Fanno così tanti tra colleghi di lavoro, amici che si credevano fidati, capi d’azienda verso il proprio personale, persino confratelli e consorelle di vite spirituali. Ma anche tra parenti stretti le cose non vanno meglio: coppie, genitori e figli, fratelli e sorelle, cugini e tanti altri sono soggetti allo stesso vizio.
La psicologia delinea per costoro il tratto degli ipocriti. Di coloro che non hanno né il coraggio né argomenti oggettivi per supportare i loro giudizi sprezzanti in presenza del denigrato o della denigrata. Lo fanno solo in assenza esercitando spesso quella supposta e creduta superiorità di ruolo (quando sono i tuoi capi sul lavoro, quando hanno più soldi, più potere, più considerazione nella società, quando sono in una condizione di vantaggio rispetto al denigrato ecc.). Ma accade anche quando le condizioni tra chi denigra e chi è denigrato sono di assoluta parità. Il risultato in entrambi i casi è lo stesso: chi denigra gli altri in loro assenza mostra la peggiore inclinazione umana, una miseria e mancanza assoluta di stile, di lealtà, di coraggio e di grado culturale. La psicologia relazionale ci dice anche, ahimè, che chi è abituato a parlar male degli altri in loro assenza lo farà sempre: per vizio, miseria umana, ignoranza, arroganza, supponenza. E non basterà nessun ragionamento né parola per modificare quel cattivo comportamento così diffuso e praticato.
Non a caso Alfred de Musset ha scritto che “L’offesa più grande del tuo peggior nemico non è paragonabile a quello che gli amici più cari dicono di te alle tue spalle”. E qui si apre il grande panorama dei falsi amici. Di coloro che solo per strategia si fanno credere i tuoi migliori amici ma che di fatto sono i peggiori. Anche, e appunto, peggio dei nemici più dichiarati. Una deriva che ha suscitato persino la saggezza popolare che dice “Guardati dai tuoi migliori amici che dai nemici ti guarda Dio“. Tuttavia e intanto, occorre comunque praticare nella vita quella necessità che si chiama fiducia. Nessuno potrebbe vivere senza dare fiducia a taluni suoi simili. Dare fiducia agli altri è parte delle necessità umane di cui una vita non può fare a meno. Tanto che spesso si scopre che proprio le persone a cui abbiamo dato fiducia sono coloro che denigrano alle spalle. Nonostante questo occorre comunque fidarsi di alcuni legami umani rischiando tutte le volte di essere traditi dalla maldicenza.
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Le persone che hanno “bisogno” di parlare male degli altri, dice la psicologia, spesso devono gestire le proprie frustrazioni interiori anche quando la vita non li ha fatti mancare niente e hanno avuto, magari, ogni tipo di fortuna economica e sociale che tuttavia non sono bastate a farle diventare persone migliori di quello che sono. La loro supposta e spesso nascosta superiorità poggia anche sulla maldicenza che genera una sorta di rabbia interiore quando, al contrario delle persone fortunate, non hanno raggiunto nessun risultato. Quella stessa miseria umana, e cioè la maldicenza, il parlar male degli altri in loro assenza, che accomuna ricchi e poveri, persone fortunate nella vita o deprivati, spesso passa sotto la necessità di uno “sfogo”. Chi denigra in assenza parla spesso della necessità di fare uno sfogo a qualcuno su un altro/a che prontamente denigra. Uno sfogo che si manifesta, appunto, con la maldicenza. Individui vittime se stessi e di un malessere che si compone in loro di ricordi, traumi, sconfitte, dolori, paure, rabbia, fallimenti o riscatti, disagi inconsci e della idea distorta di sé stessi, che non permette di vedere le altre persone per quello che sono e per il mistero che ciascuno rappresenta.
Questo malessere provoca in molti casi lo sparlare, il parlare dietro le spalle e purtroppo anche il raccontare cose che non sono vere. Si racconta per “sentito dire”. Si parla male degli altri sfogano così la propria aggressività o anche la propria percepita superiorità che deve ostentarsi anche in quel modo. Occorre far capire a chi ascolta che chi sta denigrando ne sa di più e meglio. Paradossalmente, chi “maligna” cerca di mettersi in buona luce: il suo “io” si gonfia all’aumentare delle maldicenze che dice, perché parlare male degli altri significa – indirettamente – parlare bene di sé e di chi ascolta. Così dietro ogni maldicenza c’è sempre un sottinteso: “ti racconto questa cosa perché io non sono così e so che neanche tu sei così”. Un modo insomma per accattivarsi la stima del proprio interlocutore. La maldicenza è quindi l’espressione dell’invidia e della gelosia, della propria ignoranza e della incapacità di vedere le belle qualità degli altri sempre e comunque anche quando non abbiamo i mezzi mentali e culturali per capirli. Sarà per questo che essa è stata l’argomento di aforismi e riflessioni da tanta parte.
“La privata maldicenza – scrive per esempio Philip Dormer Stanhope Chesterfield in una lettera ad un figlio – non deve mai essere accolta e divulgata volontariamente, poiché, sebbene la diffamazione altrui possa al presente appagar la malignità o l’orgoglio del nostri cuori, pure la fredda riflessione trarrà da una siffatta inclinazione conseguenze sfavorevolissime per noi. In fatto di maldicenza. come di ruberìa chi la raccoglie, è sempre creduto colpevole quanto il ladro stesso“.
“Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca priva di applausi”. Ebbe motivo di scrivere così Charlie Chaplin a cui di certo il successo non mancò. Ci si ritrova a parlar male delle altre persone. Lo si fa tra amiche, amici, tra colleghe, con il proprio compagno, compagna. E lo si fa anche dallo psicologo, quando quello sarebbe il luogo dove parlare di sé, dei propri pensieri e delle proprie emozioni. Tanto che la stessa psicologia continua a chiedersi “perché succede così? quale meccanismo c’è alla base? Spesso si tratta di un meccanismo di difesa per il quale attraverso l’altro si parla di sé. Ovvero, a volte succede che è difficile riconoscere degli aspetti di sé e allora li si vede nell’altro e li si critica. Ma la critica all’altra persona diventa, inconsapevolmente, una critica a sé. Di solito, sono degli aspetti difficili, dolorosi, delle questioni irrisolte, un aspetto del carattere o un modo di pensare che non piace. Spesso, chi adotta questo meccanismo, non si rende comunque conto di questa dinamica. Questi aspetti, difficili da tollerare se pensati su di sé, si crede facciano solo parte dell’altro. Nella memoria di un percorso di terapia psicoanalitica spunta il ricordo di “una mamma che criticava tutto. Alla quale non andava bene nulla. Era arrabbiata con la babysitter, non condivideva ciò che faceva la suocera, ogni pensiero delle amiche era oggetto di giudizio, suo marito non si comportava come lei desiderava, dei figli andava bene poco e niente e ogni incontro con lei diventava un processo di accusa contro gli altri.
Un atteggiamento “ostile” che si proiettava per intero nella sua storia personale lungo la quale si ritrovavano sorprendentemente aspetti simili, se non identici, alle storie che lei raccontava sugli altri. Tutti i tentativi di mostrarle queste somiglianze cadevano nel nulla.
Per lei, inizialmente, era intollerabile il pensiero di rispecchiarsi in queste persone che lei tanto giudicava. Con il passare del tempo, questo rispecchiarsi diventava più accettabile.
Questa mamma iniziava a vedersi negli altri, a rispecchiarsi in loro, a capire che certe cose appartenevano a lei e non a loro. È stato per lei un passaggio di crescita difficile. Tuttavia, le ha permesso di vivere più serenamente. Immaginate che davvero nulla andava per il verso giusto prima. Credete sia facile vivere così? Questa mamma, all’interno di questo vortice di giudizio, si sentiva davvero molto sola. Una volta compreso questo meccanismo di difesa, che le era stato utile per proteggersi dal vedersi dentro, ma che non le serve più, ha iniziato ad accettarsi per quello che era, nei suoi aspetti più facili da ammettere ma anche in quelli più difficili. Accettarsi voleva dire per lei apprezzarsi, credere in sé, credere di valere, sapere di valere, riconoscersi delle cose positive e riconoscerle agli altri.
Come riuscire a vincere la vostra maldicenza? Parlate solo bene di chi è assente e tacete su tutto il resto
Quando chi critica gli altri e dice le cose peggiori in loro assenza non si rende conto del danno che fa a se stesso/a e agli altri e ripete lo stesso errore con tutti per vizio ed abitudine il percorso di miglioramento non sarà facile e ci sarà nessun percorso psicoanalitico ad aiutare. Potrà venire in supporto persino un articolo letto per caso, una frase a caso, un approfondimento sulle pagine di una rivista e qui sul web a far riflettere. Capire, per esempio, che “elogiare in assenza e criticare in presenza” serve molto di più alla “buona reputazione” di chi lo fa. E non importa il vostro ruolo. Che siate capi d’azienda, proprietari di una impresa milionaria, capi in qualche ufficio pubblico che ha un numero folto di persone. Che siate gente con un potere sociale o economico o, al contrario, persone del tutto sconosciute e in difficoltà nella vita non cambia nulla: rimarrà di voi solo il parlare bene degli altri. Quelli da cui non dovete avere nulla allo stesso modo come di quelli che hanno fiducia in voi perché vostri amici, parenti, colleghi di lavoro o vostri dipendenti. Perché dire cose belle degli altri e tacere quelle brutte è segno di grande signorilità e di infinita saggezza. Denota di voi un tratto caratteriale di grande signorilità. Porta il segno più bello che possa esserci di voi in giro. Parlate bene di tutti quando siete arrabbiati e tentati a mostrare tutta la vostra supponenza, il vostro potere, la vostra forza come quando siete appagati. Se riuscirete a farlo non avrete fatto un regalo agli altri ma a voi stessi. Sicuramente sarà la cosa più difficile da fare per chi parla male degli altri sempre, in assenza come in presenza, per chi non ringrazia mai la vita per quello che gli/le ha dato, per chi non è mai grato agli altri. Ma è uno sforzo di cambiamento che vale davvero la pena farlo affinché non si resti nella miseria umana da cui tutti veniamo.
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