Aveva 10 anni il bambino morto assiderato sotto la pancia di un areo arrivato a Parigi
Dentro la custodia del carrello di atterraggio, sotto la pancia di un boeing 777, lì dove vanno a finire le valigie dei passeggeri che stanno comodi al piano di sopra durante il volo AF703 che collega, ogni giorno, Abidjan (ABJ) a Parigi – Charles de Gaulle. Un boeing decollato da Abidjan, in Costa d’Avorio, martedì sera per atterrare, poco dopo le 5 di mattina, a Parigi. Il comunicato stampa dell’Air France si guarda bene dall’usare la parola “bambino”. Dice della morte di un “clandestino” senza specificarne l’età esprimendo compassione per il dramma umano. Si è saputo più tardi che il personale tecnico dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi era impegnato a fare una ricognizione come quelle di routine fatte subito dopo l’atterraggio avvenuto alle sei del mattino di ieri, mercoledì 8 gennaio, quando hanno notato qualcosa di anomalo nel vano del carrello e compreso che lì c’era qualcuno, immobile, scoperto cadavere subito dopo.
Noi d’Occidente, così opulenti che anche i più poveri tra noi, mangiano pane e salame e stanno bene oltre ogni aspettativa, ci preoccupiamo quando i nostri figli, quelli di dieci anni come il bambino ivoriano, trovato morto sotto la pancia di quell’aereo, debbono attraversare la strada, percorrere un tratto a piedi o prendere una folata di vento a scuola se non ci sono ancora i riscaldamenti accesi. E, invece, del bambino trovato morto a Parigi non abbiamo neppure il nome né una fotografia né qualcosa che possa farci capire come può un bambino eludere i controlli in un aereoporto e salire al volo, correndo, dentro il vano custodia del carrello d’atterraggio sotto la pancia dell’aereo, lì dove le temperature scendono a -50° tra i 9 e i 10 mila metri che è l’altitudine alla quale volano gli aerei di linea. Lì dove le custodie del carrello di atterraggio non sono né riscaldate né pressurizzate. E, invece, il bambino ivoriano ha voluto provarci come altri adolescenti africani che, in questi anni, hanno tentato la fuga allo stesso modo fermati, loro, all’aereoporto dai servizi di controllo, sfuggito, lui, al controllo in fase di decollo.
Provarci comunque soprattutto quando si è bambini perché i sogni che fanno i bambini sono forti e possenti. Perché i bambini non conoscono il limite che divide la follia malsana del mondo da quella creativa e d’utopia della quale sono portatori. In un paese dilaniato agli inizi degli anni Duemila da una guerra civile devastante, pervaso da zone di povertà estrema il viaggio di un occidentale rende bene il paradosso di questo luogo d’Africa.
Lo scorso anno un’inchiesta realizzata per TV2000 (che voglio riproporvi alla fine) tentò di aggiornare la condizione del Paese e dei bambini in Costa d’Avorio, Venne fuori che se i bambini ivoriani non appartengono a quelle pochissime fasce agiate, vengono sfruttati nelle piantagioni di cacao per produrre cioccolata che si vende e si mangia nelle zone ricche del mondo o vivono la più disumana delle povertà. In Africa Occidentale la Costa d’Avorio si distingue dagli altri Paesi per la sua impressionante crescita economica: la più robusta dell’intero Continente essendo loro i maggior esportatori al mondo di cacao ed anacardi. Il loro PIL è cresciuto dell’8% nell’ultimo anno ma il miracolo economico è solo apparente poiché metà della popolazione vive nella miseria e paga il prezzo della guerra civile che è finita sì ma ha fatto deserto e non è finita del tutto. Cosi si spiega l’esodo costante legato ad una crisi che è politica e sociale. La Costa d’Avorio è la terza Nazione d’origine dei migranti che cercano le rotte del Mediterraneo per approdare in Europa. È stato questo il motivo che ha spinto l’altro giorno il bambino trovato morto ad aggrapparsi alla custodia del carrello d’atterraggio dell’aereo che lo avrebbe portato in Francia. Un gesto estremo come quelli compiuti da altri bambini ivoriani sopra le baracche del mare che vanno dalla Libia all’Italia. Tanti di loro sono morti nel mare senza identità senza nomi. Lui, invece, è morto in cielo, assiderato dal freddo di un volo durato un notte a dirci in quanti e quali modi l’insensatezza del mondo fa muovere le cose.
Qualunque nome abbia quel bambino morto in cielo voglia perdornarci per il mondo che ha trovato, per l’indifferenza, lo sfruttamento degli umani verso altri umani e verso di lui costretto a morire assiderato per cercare un mondo migliore.
aggiornamento…
“Aveva 14 anni ed era il ragazzino quel bambino di cui avevamo parlato il giorno dopo che era stato trovato cadavere all’interno del vano carrello di un aereo atterrato a Parigi e proveniente dalla Costa d’Avorio. Si chiamava Laurent Ani Guibanhi e a dircelo è stato il Ministero dei Trasporti di Abidjan, capitale della Costa d’Avortio, da cui era partito il volo. Hanno potuto arrivare all’identità del ragazzino grazie all’esame delle videocamere dell’aeroporto di decollo e quindi successivamente chiedere conferma ai genitori del ragazzino. Ani era nato il 5 febbraio del 2005 a Youpugon, un sobborgo della capitale della Costa d’Avorio e frequentava regolarmente la scuola. Secondo la ricostruzione fatta dal Ministero ivoriano, il ragazzino, che indossava solo una t-shirt, si è aggrappato al carrello poco prima del decollo, durante la fase di rullaggio. Amadou Konè, Ministro dei Trasporti della Costa d’Avorio ha detto ai media africani: «Pensiamo che abbia avuto accesso allo spazio aeroportuale scavalcando un muro, poi si è nascosto in uno spazio verde».
Si chiude così la triste vicenda del ragazzino ivoriano a cui, almeno, abbiamo potuto dare un nome, una identità, una storia ed una degna sepoltura.