«Caro Michele Piccolo, pensavo fosse amicizia invece era solo un floppy disk…»

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«Caro Michele,
dal 22 aprile scorso è la prima volta che mi rivolgo a te allo stesso modo in cui ho fatto in questi ultimi 25 anni. Chiamandoti per nome, credendoti leale, amico per davvero anche quando in questi anni hai detto brutte cose su di me alle mie spalle. Qui ti richiamo per nome volendo conservare la parte migliore di te. Come si fa tra due veri amici che si sono frequentati e vissuti per anni. Soprattutto nei momenti difficili che non sono mancati né a te né a me. Che si sono raccontati le loro cose più private (molte delle quali eviterò di riportarle in questa lettera) e gli stati d’animo delle diverse stagioni che possono passare in più di 25 anni di vita e d’amicizia. Amicizia che pensavo fosse davvero tale e, invece, mio malgrado si è rivelata un floppy disk. di quelli che sono ormai in disuso da anni. Quelli su cui restava la memoria delle cose vissute e nulla più. Floppy che ha la stessa radice semantica di flop che in italiano usiamo, da sempre, per dire fallimento, insuccesso. E se, malgrado tu abbia poco tempo per leggere, riuscirai ad arrivare fino in fondo a questa lettera capirai, spero, che essa ha il compito di fare chiarezza tra noi due e tra me e tutti coloro che, a causa tua, hanno pensato e detto il peggio di me dopo quel folle 22 aprile scorso in cui hai mostrato il peggio di te. Una lettera per portare in luce tutte le cose che per troppi anni sono rimaste al buio e farti capire come non basta solo dirsi pubblicamente buono, generoso, altruista, attento e portatore di legalità: bisogna esserlo davvero! Soprattutto quando nessuno ti vede e ti può celebrare. Anzi. Le parole che diciamo o scriviamo e che in tanti modi ed occasioni te ne ho “prestate” nei discorsi pubblici e nei libri, contano per me oltre ogni cosa ma sono pur sempre e solo il primo passo che ci impegna ad essere davvero ciò che diciamo o scriviamo di essere…
Quando tutto cominciò…
Il mio percorso di vita sul finire degli anni ’90 mi fece incappare nella tua conoscenza. Avevo finito con successo, già da qualche anno, il mio percorso universitario grazie al mio amore per la cultura, alla mia caparbietà e ai grandi sacrifici di mia madre. Nel marzo del ’94 avevo conseguito la laurea in Filosofia presso la Federico II con il massimo dei voti e la lode e con l’idea in testa di cercare e documentare la verità facendo il giornalista piuttosto che il docente di filosofia, storia e scienze umane che pure ho fatto. Volevo fare del giornalismo il mio modo di stare al mondo e di contribuire a migliorarlo… questo mondo. Me ne ero andato a Londra nell’aprile del ’94. A settembre di quello stesso anno avevo deciso di iniziare a Roma un corso biennale di specializzazione in Giornalismo multimediale e tecniche audiovisive. Alla fine del corso, frequentato con tutto l’ardore e l’entusiasmo giovanile, era l’aprile del ’96, Pino Scaccia, Puccio Corona, Lilli Gruber e Piero Marrazzo, ch’erano stati tra i miei docenti di corso assieme a molti altri, mi dissero, con l’ardore e la notorietà della loro franchezza, che avevo il sacro fuoco del giornalismo e tante altre qualità ma se volevo davvero arrivare in Rai, mi confidarono all’unisono, avrei dovuto cercarmi anche una buona raccomandazione (come sempre e per tutto in Italia) e anche, semmai, la tessera di un partito che contava molto potere. Non tentennai nemmeno un’istante. Dissi di “no”. Dissi che avrei rifiutato con tutte le mie forze ogni protezione e raccomandazione clientelare. E che se in Rai non ci sarei mai arrivato, dovunque avrei poi approdato sarebbe stato con la sola forza dei miei piedi e per le mie capacità se ne avessi mostrate. Mi confortava ed ispirava in quegli anni, attorno a questi temi, il mito e l’esempio, di vita e di morte, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino uccisi barbaramente pochi anni prima con l’idea che la corruzione va sempre combattuta e rifiutata con forza anche quando può dare un vantaggio personale ed immediato che può fare, per sempre, un gran bene alla propria vita come alla propria impresa. Mia madre, nel frattempo, mi aveva confermato nella vita privata la grande lezione dell’onestà con l’esempio umile e concreto della sua esistenza e del lavoro che ha fatto fino a poco tempo fa senza essere mai remunerata come si sarebbe dovuto fare per etica e legge. Per uno strano gioco del destino alla fine degli anni ’90, ti avevo conosciuto da poco, mi diedero notizia che a Siena c’era un bando per reclutare il nuovo Capo Ufficio Stampa dell’Università di quella fantastica città d’arte, di cultura e di storia. Un solo posto per tanti candidati. Ma io volevo tentare e ti confidai il proposito davanti al bar del tuo primo supermercato della Starza che allora era per te e per molti dei tuoi “la casa madre”. Mi dicesti: “Ce le prenderemo assieme qui le soddisfazioni lavorando”. “Qui c’è molto da fare anche per te” mi dicesti. Ma forse oggi nemmeno ricordi più. Sono passati troppi anni e sei diventato altro.
Il primo decennio degli anni Duemila…
Il mio ingresso nella tua vita e nella tua azienda iniziò così. Creando dapprima e innanzitutto quel che ritenevo un saldo e profondo legame d’amicizia. Con gli inizi del primo decennio del Duemila ti chiesi di far entrare la tua azienda tra gli sponsor de “Il Cittadino” il giornale da me fondato che segnò una storia di libertà e denunce a Sant’Anastasia e dintorni dove in tantissimi aspettavano ogni mese in edicola, come il pane davanti al forno, una copia cartacea come allora si faceva. Eravamo un gruppo di giovani che volevano portare un cambiamento serio e duraturo a Sant’Anastasia, la tua e la mia città natale.
Un salto in avanti e dopo tredici libri che, intanto, avevo già scritto e pubblicato a partire dalla mia tesi di laurea che divenne un libro nel 1996 con la Firenze Atheneum, arrivai a fondare una società attorno al Cittadino dove tu eri tra i 16 soci, tutti con belle storie d’impresa e di professioni alle spalle. Era il 2007 e avevo già scritto e pubblicato anche la biografia su e con il boss della camorra Raffaele Cutolo edito da il Saggiatore e un libro su e con il fondatore della P2 Licio Gelli edito da Laterza editore. Nel 2010 mi ritrovavo già a lavorare a pieno ritmo nel mondo del marketing, della comunicazione e del giornalismo enogastronomico per la tua azienda con un contratto che però arrivò solo dopo tempo, l’11 novembre del 2011, anche se ci lavoravo già dapprima senza contratto come è accaduto all’inizio a tanti altri tuoi lavoratori. Avevo creato e portato avanti da te e dal nulla, un anno prima, “suoniemigrantifestival” che nel corso dell’intera estate 2010 fu un format di successo, senza alcun dubbio, assieme a tanti altri eventi che sono state occasioni di marketing, connessioni con famiglie e persone, con enti ed istituzioni. Come i calendari degli anni solari di ogni anno tra quelli che ti realizzavo dal principio alla fine, dal soggetto grafico alla stampa, alla distribuzione ed entravano in molte case per un anno intero. Ma anche la realizzazione di un giornale d’azienda (un house organ che tu chiamavi grottescamente giornalino) ed altre forme nuove di comunicazione verso le quali condussi la tua azienda e la tua persona. Avevo iscritto, tra le prime ad esserci, la tua azienda su facebook con una sua pagina, per la prima volta sui social nonostante le tue fastidiose ritrosie. In cambio di tutto l’impegno messo in campo e delle cose realizzate avevo raccolto, da subito, i peggiori commenti da emeriti neofiti (per non dire altro) senza nessuna cultura di base che non sono mai mancati tra le tue amicizie varie e i tuoi collaboratori. Pronti sempre a diventare esperti di tutto , a parlare senza avere competenze, a rafforzare e darti sostegno adulando ogni tuo sfogo malevolo, ogni critica aspra che spargevi in giro sugli altri. Ogni commento spregiativo che facevi a turno su tutti (nessuno escluso per davvero) e anche, ovviamente, su di me sempre a mia insaputa. Io giustificavo tutti i tuoi passi falsi e tutti gli sfoghi o maldicenze che ti capitava di diffondere in giro o nei luoghi della tua azienda contro persone ch’erano assenti in quel momento. Lo facevi e lo fai forse per inclinazione tua caratteriale. Per carenza di stile o per una deformazione di vita. Sicché certe cose, certe sensibilità, certi atteggiamenti di vero rispetto verso gli altri li puoi capire e praticare solo se hai, anche in minima parte, quell’empatia di base che ti porta a metterti davvero nei panni degli altri e a tutelarli sempre. E non vieni posseduto dall’idea che le ricchezze materiali che hai accumulato con gli anni possano darti diritto ad un potere che ti fa praticare l’arroganza la quale si può mascherare quanto si vuole ma viene sempre fuori se ti appartiene. “Il potere logora tutti e porta fuori strada chiunque, anche i migliori!” ti ho detto sempre per metterti in guardia. E volendoti un gran bene volevo farti evitare gli sfoghi alle spalle contro chiunque che capitava a turno sotto il tuo tiro di sentirti fare. La mia lealtà è stata sempre questa: dirti di persona e con ponderazione ciò che pensavo.
Nonostante tutto, tu per me conservavi il valore di un sogno, il sogno di uno che c’era riuscito nello stesso paese dei miei natali malgrado le difficoltà, le umili origini, la gavetta, l’abitare alla periferia di una periferia. Con il senso e la pratica della tua tenacia che io avevo messo in primo piano. Solo mescolando tutto questo alla scaltrezza di vita e di lavoro di tutti gli anni che ti eri già lasciato alle spalle hai potuto dire in contesti diversi e diversi luoghi, fuori e dentro la tua azienda, le parole giuste che anche quando non erano dettate da un italiano perfetto erano comunque dette al momento e nel modo giusto e facevano presa. Anche per questo ho creduto, per anni, nella parte più bella di te. Non a caso, in quegli anni, non hai mai voluto tenere riservato quel pensiero che spesso ribadivi anche in pubblico: “Francesco De Rosa mi ha insegnato a parlare in italiano e soprattutto mi ha insegnato a parlare in pubblico”. Mi dicevi persino “se faccio qualche errore dimmelo senza problemi”. Ma con il tempo ho compreso che lo dicevi e lo dici per strategia, per far presa sugli altri e dare agli altri la più bella immagine di te. Credimi, esser capaci di ammettere i propri errori possono farlo solo i poeti, i folli ed i filosofi. Non certamente chi deve fare brand, propaganda, nuova clientela. In queste cose la nostra mente umana è diabolica che solo “maestra filosofia” ci fa capire la miseria che tutti noi possiamo avere dentro e non capirlo mai.
Intanto, per elencare tutte le cose che ho portato nella tua azienda affinché tu e la tua azienda avessero sul territorio un’immagine diversa e migliore di quella che avevano in quegli anni non mi basterebbero mille lettere. Mi sono occupato nella tua azienda, in quegli anni, di formazione, eventi, manifestazioni pubbliche, di co marketing, della organizzazione e conduzione di spettacoli che hanno fatto comunità e brand, di cortometraggi, video, interviste, campagne d’informazione, di coinvolgere i tuoi clienti in esperienze immersive, dell’immagine dei tuoi lavoratori nei tuoi supermercati che, nel frattempo, aumentavano. Ho portato, per la prima volta, nella tua azienda l’Onaf, l’organizzazione nazionale (e più autorevole) degli assaggiatori di formaggi che fecero, con me e per mano di esperti, la formazione ai tuoi salumieri. Ti ho collegato e presentato a Renzo Arbore, a Don Antonio Mazzi, alla Lega del Filo D’Oro e a tanti altri che conoscevo per il mio mestiere d’origine. Ti ho portato da Giancarlo Magalli su Rai Due per farti parlare della vicenda di Anatolij Korol e scrivendo a tuo nome una lettera per Sergio Mattarella che ti rispose e come gli chiedevo a firma tua il giorno dopo l’accaduto diede qualche mese dopo la medaglia d’oro al valor civile all’eroe ucraino morto in uno dei tuoi punti vendita per difendere le legalità dai rapinatori. Ti ho difeso, in quegli anni e dopo, come ben sai, con fermezza, generosità ed onestà intellettuale davanti a tutti (tante volte a tua insaputa) quando ti accusavano di aver avuto successo solo grazie alle illegalità, ai camion rubati, ai contratti fasulli che dichiarano molte meno ore ai tuoi lavoratori sfruttati e spesso maltrattati che, in quegli anni, se part time non avevano nemmeno una giornata di riposo a settimana. Accusato di compromessi ch’eri costretto a fare, secondo i tuoi detrattori, con i peggiori poteri legali ed illegali. Davanti a ciascuna di queste accuse e a ciascun tuo accusatore io invitavo loro a vedere i tuoi tanti pregi, la tua tenacia, la tua capacità di dedicare al lavoro tutti i giorni e le ore della tua vita. Volevo vedere in te solo e sempre tutto il bene che si poteva vedere. Arrivò così, in quegli anni, anche il primo libro scritto da me sulla tua realtà di lavoro e di vita. Si chiamava “Il manuale del buon lavoratore” ma né tu né nessun altro in azienda (tranne Carmela Esposito, la suocera di tuo figlio che lo espose nel suo punto vendita e tranne qualche altro dei pochi liberi davvero e sinceri che sono stati o sono nella tua azienda) riuscirono a capirne il senso ed il significato.
Il secondo decennio del Duemila…
Un altro salto più avanti e arrivo nel secondo decennio del Duemila che fa susseguire traguardi, eventi e manifestazioni, iniziative interne ed esterne ma anche dissapori che esplosero tra e te quando in mezzo al nostro legame di vita e di lavoro arrivarono i tuoi legami privilegiati con la peggiore politica locale. Fu per questo che nel 2017 per il tuo peggior sodalizio con uno dei peggiori politici locali, oggi ancora in politica grazie ad altri arresti, ai tuoi voti e alla lista che gli aiutasti a fare nel 2020 “arruolando” anche alcuni dei tuoi lavoratori, fui costretto, per non piegarmi al peggio, ad interrompere il mio rapporto di lavoro con te affinché io potessi tutelare almeno ciò che, malgrado tutto, ritenevo essere ancora la nostra amicizia. Un giorno a Nola in quei mesi in cui io e te da soli giravamo per i punti vendita, ch’era di sera, per fare incontri e motivazione mi dicesti, tornando in auto, con lucidità e saggezza: “Ma tu pensi davvero di cambiare il mondo facendo la guerra a questo o quel politico che prende tangenti? E sai quanti ce ne stanno? E sai quante volte io vorrei mandare a quel paese tanti di loro che chiedono soldi ma non posso farlo?” Avevi ragione ma io non potevo sopportare quel sistema visto così da vicino. Uscendo dai luoghi del tuo lavoro mi sarei sottratto al tuo fuoco di mobbing a cui ero stato sottoposto in quei mesi da te e dal tuo amico politico locale da cui sono lontano mille anni luce che aveva già fidelizzato te e la tua azienda e ti faceva pressione contro di me. E faceva incursioni quotidiane pubbliche e private. Io volevo combattere la corruzione che vedevo, tu volevi far crescer i tuoi affari anche utilizzando l’aiuto della peggiore politica locale.
Così, uscendo dalla tua azienda, in quel maggio del 2017, e ripartendo daccapo potetti, subito dopo, scrivere il mio libro “Il tangentista. Storia di un sindaco che viene arrestato per tangenti e condannato. Di chi lo sostiene ancora, di chi lo paga, di chi lo rivota” che tanto fastidio ha dato fino al 22 aprile scorso a te e al politico locale che hai legato a te. Erano gli anni in cui diversi campioni di politica locale della stessa risma venivano a chiederti ogni tipo di aiuto e soprattutto soldi che si chiamano, oggi come allora, contributi volontari, sponsorizzazioni, supporti, prestiti come accade a molti imprenditori. Gli anni in cui tu mi confidavi che ti chiedevano di tutto e di più. Io ero dalla tua parte e lì sarei rimasto se tutte le volte che mi parlavi di legalità e dicevi in pubblico che “conviene sempre vivere di legalità” poi l’avresti difesa per davvero la legalità malgrado un imprenditore, al pari di un giornalista, può pagarla cara in mezzo ad un mondo così corrotto.
In quel maggio del 2017, pochi giorni prima di andarmene via di mia iniziativa, visto il clima avverso che mi avevi creato attorno per non turbare il tuo amico politico che proteggevi, io ti esortavo ad avere lucidità e coraggio sapendo che “il coraggio – come dice oggi Nicola Gratteri – non lo si può mai trovare o comprare al supermercato”. Ti mandai un messaggio whatsapp il 18 maggio di quell’anno che conservo ancora, come tutto il resto, in cui ti comunicavo che avrei lasciato la tua azienda. Per un inconscio senso di colpa tu decidesti di garantirmi lo stipendio fino alla fine dell’anno 2017 vista l’assenza di giusta causa e il danno che avresti potuto avere se io avessi deciso di raccontare, per intero, il tuo legame d’interesse “reciproco” con la peggiore politica locale. Non a caso, mi sono spesso chiesto, in quegli anni, se tu sia più vittima o più carnefice di un sistema marcio che coinvolge la società intera e la politica a tutti i livelli e anche molta parte del mondo dei supermercati soprattutto al sud dove il bisogno di lavorare è più forte. Pur sapendo che ci sono tante aziende, anche in Campania e nel sud Italia, dove le regole della legalità valgono molto di più e i lavoratori del food sono molto più garantiti dalle parti sociali e dalle loro aziende. Con gli anni mi sono risposto che è ragionevole pensare tu sia vittima e carnefice nello stesso tempo di un sistema malsano. Come lo sono molti dei tuoi collaboratori interni ed esterni. Soprattutto quelli che lucrano sui tuoi guadagni millantando amicizie sincere che non sono e ti dicono, per questo, sempre di sì anche quando stai sbagliando. In ogni caso il 24 gennaio del 2018 risultai ufficialmente e finalmente fuori dalla tua azienda anche sulle carte e mi avviai ad organizzarmi da solo e senza aiuto alcuno il mio nuovo assetto lavorativo portando linfa vitale al mio progetto grandichef.com da cui trassi sostentamento in giro per l’Italia.
Avevo già messo in rete e riempito di contenuti, qualche anno prima, il portale ilmondopiccolo.it su cui narravo le belle cose che accadevano nella tua azienda ma quel portale era anche una metafora del mondo “piccolo” in cui talvolta finiamo di abitare convinti di abitare le grandi galassie. Mai avrei immaginato che il nome di quel dominio sarebbe diventato profetico, una perfetta metafora. Ho trascorso così gli anni dal 2017 al 2020: in giro per l’Italia a respirare aria nuova di sacrifici, sì, ma anche di libertà e bellezza. La nostra amicizia fu salva per questo. Grazie alla mia volontà di volermene uscire dalla tua azienda per essere più libero di parlare e scrivere su tutto e tutti, anche dei tangentisti che tu ed io conoscevamo bene. Fu questa mia fermezza e il bel legame che volevo tutelare con te e con tutti i tuoi familiari che mi fece accettare l’invito, garbato e caloroso, di tuo figlio Raffaele quando, preso lui da entusiasmo, mi fece visitare, sul finire del 2019, il cantiere dei nuovi uffici di via Luraghi a Pomigliano e sul posto stesso mi invitò a pensare ad un mio rientro in azienda quando il cantiere sarebbe finito. Parlammo dei bei progetti e anche di grandichef.com che lui voleva farmi portare in azienda come accadde poi. La pandemia, poco dopo, arrivò a mannaia e fece chiudere tutti i ristoranti tranne i supermercati tanto che mi ritrovai senza possibilità di sostentarmi visto che grandichef.com era ed è il format degli chef stellati e dei loro ristoranti presso i quali avevo ideato e condotto eventi. Il primo maggio del 2020, in pieno deserto pandemico e con i punti vendita tutti aperti e presi d’assalto, mi chiedesti di “rientrare” nuovamente nella tua vita d’impresa ch’era anche un modo per continuare a ritrovarsi nel quotidiano. Così quel giorno riebbi nuovamente uno stipendio che fu pro manibus con la richiesta di ricominciare ad adoperarmi durante quei mesi difficili di covid e di lavoro nella tua azienda.
Dall’anno 2020 all’aprile di questo ’25…
Dal primo maggio 2020 al 22 aprile dell’anno ’25 ci passano, per pochi giorni, appena cinque anni. Cinque anni vissuti pienamente ad occuparmi, per la tua azienda, di colloqui, assunzioni, spostamenti, formazione, motivazione, i due libri che ho scritto, i progetti con le scuole del territorio, e ancora recruiting per nuovi punti vendita e coordinamento di risorse umane che condividevo con altri, come sai, e che mi rifiutai di fare in solitaria anche quando uno di loro, tuo nipote Domenico che si occupa di paghe, contratti, cedolini, ferie da scalare ed ammonimenti disciplinari, mi chiese di defilarsi dai colloqui ed io gli chiesi, invece, di non farlo perché il valore di una squadra è più importante della visibilità e centralità dei singoli individui che tante volte fanno a gara per avere da soli gloria e maggiori remunerazioni. In cinque anni ho ascoltato e fatto colloqui di lavoro a più di quattromila persone molti dei quali con tuo nipote Domenico ma anche, tanti altri, nei diversi punti vendita assieme ai direttori che sapevo essere lì e con i quali ho costruito sempre legami sinceri, ponti e supporti dacché fanno un grande lavoro che va motivato come ho fatto sempre.
Nel 2022 “Le fabule del cibo” fu un libro ed un percorso sensoriale che volli realizzare assieme a tua figlia Giusy, una persona straordinaria con mille qualità, con grandi e belle utopie impegnata ora a trovare la sua strada maestra. Con lei abbiamo visto decine e decine di visi e volti di tutti i ragazzini delle scuole che a Sant’Anastasia e a Nola hanno sentito noi due parlare di te come di un eroe di vita e d’impresa come si può leggere in quel libro che in molti hanno ancora nelle loro case. L’estate del 2023 l’ho trascorsa a scrivere, invece, su mia iniziativa e nel mio tempo libero, un libro biografia che volli dedicarlo alla tua vita: “Michele Piccolo, una storia di vita e di lavoro” ascoltando e registrando tantissime persone tra tuoi familiari e fuori azienda. Deciso a scrivere quel libro unicamente per farti avere il riconoscimento di Cavaliere del Lavoro a cui da molto tu stesso ambivi ed ambisci che la Presidenza della Repubblica conferisce ai migliori imprenditori d’Italia. Non avrei mai potuto immaginare che quel libro sarebbe stato il più grande paradosso che avessi mai potuto vivere. Con te che mi chiedevi ad ogni costo e senza garbo che nel mio libro avrei dovuto dare spazio anche al tuo amico e per me peggior politico locale a cui ti sei legato a doppio filo. In ogni caso, del 2024, lo stesso anno nel quale non sono mancate le tue peggiori performance in azienda attinte al puro mobbing elargito anche contro di me in più di un’occasione: il 24 giugno, il 13 luglio, il 27 luglio una data: il 21 novembre che mi farà piacere riannodare attorno all’immagine di un pullman che, su mia iniziativa, ebbe per destinazione Roma presso la Camera dei Deputati, dove quel giorno ho realizzato l’unica presentazione di quel mio libro. Portando te, i tuoi figli ed altre 35 persone lì a Roma a parlare del mio libro scritto sulla tua vita e sul tuo lavoro al solo fine di farti nominare Cavaliere del Lavoro. Tutto il resto appartiene alla cronaca, a chi prende meriti che non ha, alle bugie dette da te e da altri su questa ed altre cose. Che molte di queste cose presto cadranno in oblio come è giusto che sia. Dacché ogni vita ha bisogno di tutelare bellezza e non può tardare mai su nefandezza e marciume.
Il tuo floppy del 22 aprile scorso…
Ti ho voluto raccontare 25 anni e più di un legame umano e di lavoro avuto con te al solo fine di arrivare a quel martedì 22 aprile 2025: l’ultimo giorno in cui ci siamo visti. Quel giorno con una tua telefonata delle ore 17.31 mi hai invitato a raggiungerti nel tuo ufficio ch’ero a pochi passi, lì dove sono arrivato poco prima delle 18. Avevi già anticipato in giro, pochi minuti prima, quale fango mi avresti buttato addosso da lì a poco. Così quel giorno mi hai comunicato nel tuo ufficio, senza alcun preambolo e nessuna cautela, con l’unico tuo occhio che prende luce ad incrociare il mio sguardo incredulo, che da quel momento avrei dovuto cercarmi un altro lavoro e fare come nel 2017. Alla mia richiesta per capire da cosa veniva fuori quel tuo atteggiamento mi hai risposto, quel pomeriggio stesso, che dovevamo fare così, che non c’era nessun motivo preciso, che se tu avessi dato un motivo preciso ognuno di noi due avrebbe voluto avere ragione. Mi hai detto, tra altre cose assurde e tutte insensate di cui conservo traccia, che io avevo scritto “Il tangentista” e che questo ti portava danno dovendo tu lavorare con certi politici. Ti ho ricordato che questo era accaduto nel 2018 quando io avevo deciso di andare via dalla tua azienda ed ero già fuori ma a nulla è valso farti venire memoria. Eri accecato ed oltremodo accanito a farmi uscire, quel pomeriggio stesso, dalla tua azienda nonostante la garanzia di un contratto a tempo indeterminato a cui avrei potuto appellarmi. Mi hai detto, quel giorno stesso, che avresti voluto fare come nel 2017 garantendomi uno stipendio fino a fine d’anno per darmi possibilità di riorganizzare il mio lavoro altrove. Ti ho ribattuto che non ero mai stato un uomo amante dei soldi né come chi ti chiede danaro come fanno, invece, tanti che hai attorno a te. Che dovevo capire quel tuo atteggiamento e digerire l’immensa delusione umana che quel giorno mi stavi dando. Non certo perché il padrone di un’azienda non possa decidere di liberarsi di qualcuno che ha al suo interno che non ritiene più congeniale ma per il modo con cui lo stavi facendo. Ti ho scritto un messaggio la sera di quello stesso giorno per dirti che qualsiasi cosa chiunque ti avesse raccontato di me dannosa verso di te era e resta una bufala, una vera porcata. Ma non ho avuto risposta. Come al solito hai scelto di dire che cosa ti aveva mosso a comportarti così solo ad altri e in mia assenza già quello stesso giorno e nei giorni successivi. Lo hai detto a molti altri dentro e fuori l’azienda tranne che a me che ne ricevevo danno gratuito per mano di vere e proprie bugie. Hai raccontato di un allontanamento. Di una collaborazione di lavoro (mai avuta né prima né dopo né durante) che, a tuo avviso e da tue infondate informazioni, io avrei messo in piedi con quello che hai definito “il tuo maggior competitor”, Sole 365, che nemmeno avevo mai incontrato prima del 28 marzo 2025 a Milano dove era andato lui assieme a molte altre aziende ed amministratori delegati a ritirare un premio come c’eri andato tu. Hai messo in moto un cumulo di bugie contro di me pur di giustificarti. Dette da te ad altri e da altri ripetute pur di evitare la verità, pur di evitare il momento in cui ci si potrebbe vedere meglio davanti ad uno specchio per le azioni che si commettono e non per il vestito perfetto del sarto di turno che ti veste e veste altri per tuo conto. Vedersi come si è dentro e riconoscere che tante volte si diventa spregevoli quando si prendono le più grandi cantonate della propria vita. E, magari, davanti ad uno specchio cogliere quel momento privilegiato di coscienza per sapersi vergognare e saper chiedere scusa. Gesti nobili, insoliti e coraggiosi che so non ti appartengono solo perché da molti anni vuoi vincere facile e stare sempre e solo dalla parte della ragione.
Il coraggio e la lealtà, caro Michele, non si comprano. O ci sono per stile, cultura personale del rispetto e natura o non ci sono affatto. E se non ci sono non si possono simulare. E non arrivano con i soldi. E non bastano mai se ci sono. Il tuo modo di fare in questa storia, che già ho conosciuto mille altre volte verso altri malcapitati, mi ha creato non pochi problemi da aprile ad oggi ma, nonostante tutto, in tutti questi mesi ho osservato il più rigoroso silenzio. Ho fatto agire te, le tue maldicenze e quelli a cui hai dato mandato come se io fossi stato quel ladro che deve scappare di notte per non essere visto. Persino davanti alle speculazioni più meschine fatte contro di me che il tuo modo di fare ha innescato presso i nemici che tutti abbiamo quando i nemici sono lieti di inventare l’irreale spacciandolo per reale. Ed io ho continuato a stare in silenzio, a fare agire te, gli atti e le maldicenze che ne sono derivate. Adesso inizio ad agire anch’io senza mai usare la stessa maldicenza, lo stesso stile che hai usato tu. Dacché se c’è una mia colpa che oggi appare limpida e chiara è quella di aver voluto vedere in te solo e sempre le belle cose che ho visto in questi anni e voluto accettare di rientrare una seconda volta in un’azienda dove molti continuano ad essere, a turno, vessati e limitati in creatività e rispetto. E vengono tutti, a turno, parlati contro come i peggiori per l’esercizio di quel puro malcostume d’ignoranza e disprezzo.
Tre mesi dopo lo scorso 22 aprile, in piena estate quando si può agire senza essere disturbati troppo da controparti legali, hai fatto organizzare i tuoi uffici, tuo nipote Domenico, il tuo avvocato che gli fa sponda e limita i danni dei risarcimenti e ti mette per strada organizzando offensive legali e una giusta causa totalmente inventata con me come con altri. Tanto che mi hai fatto arrivare un licenziamento che ti protegge per legge ma non per etica, lealtà e legalità perché sai molto bene che è stata una perfetta bugia, una totale e perfetta incoerenza rispetto a quello che è accaduto e che mi hai detto il 22 aprile scorso nel tuo ufficio. Si tratta di quel perfetto stile “piccolo” riservato a tanti ex lavoratori e lavoratrici che oggi ancora vorrebbero farti guerra perché trattati male, perché persone a cui si è fatta guerra, perché vessati e buttati via dall’azienda a cui hanno dato ore ed ore di lavoro e tanti risultati (cioè fatturati) ma poi sono stati messi da parte come fossero rottami da sostituire con altri e nuovi rottami in stile turn over dei più alti che sempre sarà. Tutti loro oggi ad auspicare una guerra in stile class action che se fosse davvero metterebbe in ginocchio qualsiasi azienda e darebbe un’immagine del tutto diversa da quella che oggi hai in giro per la penisola più che in Campania di cui, per fortuna, si sa tutto di tutti. Io la guerra non te la farò perché sarà la vita che resta, semmai, a fartela. A farti capire che cos’è l’amicizia, cos’è il rispetto per gli altri e cos’è la legalità. Sarà la vita, semmai, a farti immedesimare negli altri e non solo in coloro da cui trai un qualche vantaggio in quel momento, un tuo tornaconto. Quella vita che di tutti noi ha il capolinea e a tutti noi lascia lo stesso destino: il nulla. Un capolinea che aspetta te, me ed ogni altro nostro simile e che livella tutti e non può essere evitato né manipolato da nessuna ricchezza, corruzione, bugia, pratica o potere che sia. Alla fine faremo tutti i conti con quel capolinea. E se, nel tempo e negli anni che restano, della lealtà, della vera amicizia e del rispetto verso gli altri tu non dovessi capire di più o diversamente da quello che già sai e fai almeno io non vedrò più, così da vicino, gli effetti dannosi di quelle amicizie che non sono più amicizie o non lo sono mai state ma solo floppy disk su cui resta tutto. E non sarò costretto a vedere nemmeno accadere davanti ai miei occhi tutto quello contro cui ho combattuto finora.
Infine, poiché tutte le cose che penso e credo non te le mando mai a dire o te le dico alle spalle, ma le affermo in pubblico o dai palchi o le scrivo nei libri e le documento, questa lettera non potevo non scriverla per farla arrivare a te e a tutti coloro che nemmeno sono riuscito a salutare, ad ignorare o a ringraziare. Grazie a quei tanti lavoratori della tua azienda che mi hanno scritto subito dopo il 22 aprile e mi hanno ringraziato per ciò che avevo fatto a favore del loro benessere sul lavoro e della tua azienda in cui loro ancora sono. Lavoratori che fanno il loro dovere, che lavorano ogni giorno in mezzo a molte controversie e con il vento contro e spesso resi infelici proprio da te e dalle tue parole quando ti sfoghi contro di loro e non li incoraggi mai. Resi infelici dal clima pesante di un lavoro tante volte demotivante o dai cattivi colleghi loro superiori che fanno i caporali quando cercando maldestramente di emularti. Assieme a loro ringrazio anche chi ha avuto paura di scrivermi ma avrebbe voluto farlo almeno per salutarmi. Infine e non da meno ringrazio tutti quelli che non mi hanno scritto una sola parola perché non sono mai stati amici di qualcuno/a ma solo zerbini d’azienda e cacciatori di soldi e di stipendi, come spesso dicevi tu. Usando ipocrisia e nessuna lealtà.
Si è trattato, nel bene e nel male, di una grande lezione di vita quella vissuta dentro la tua azienda e la tua vita come tutti le abbiamo da tutto. Ma spesso sono proprio quelle più negative che ci fanno capire il marciume in cui il mondo vive e tutti i motivi per i quali occorre, ogni giorno, saper rinascere per darsi a nuovi progetti e a nuove strade di vita e di libertà. Iniziando daccapo se occorre. Combattendo e smascherando, con documenti e prove alla mano, sempre i furbi, i prepotenti, i criminali dai colletti bianchi, quelli che commettono illegalità, quelli che mentono, coloro che prendono tangenti che non si chiamano più tangenti ma contributi volontari, coloro che sporcano il mondo della loro fame di potere e si fingono filantropi sul lavoro degli altri. Non lo salverò io il mondo da costoro ma almeno potrò dire di aver lottato sempre e di non aver partecipato al marciume in silenzio per comodità o vantaggio. Non scorderò la mitezza, la sincera amicizia e la stima che continuerò a nutrire per i tuoi fratelli Pasquale e Salvatore, per tua sorella, per la tua (di fatto) ex moglie Rita che conserva il sorriso sincero, tanto garbo e la vera umiltà; come per i tuoi figli Raffaele e Giusy che hanno grandissime qualità e per diversi altri che hanno a che fare con la tua famiglia e la tua azienda di cui ho conosciuto in questi anni i loro pregi. Non scoderò, assieme a tutti i tuoi lati peggiori che ho dovuto subire io e tutti gli altri in questi anni, nemmeno quelle volte in cui hai mostrato i tuoi aspetti e lati migliori che mi hanno convinto a restare per così tanto tempo e ad adoperarmi per te e per la tua azienda. Quelle parti del tuo mondo interiore che negli anni più ho ammirato e lodato e che con il tempo hai messo da parte. Nulla, ti assicuro, andrà perso. Eppure, nonostante tutto, il tempo poi cancella, dissolve, mette distanze. Nel frattempo che accade, ti auguro mille buone catarsi e, soprattutto, il coraggio e la lealtà di ribellarti ai tuoi lati peggiori. Sei ancora in tempo. E sei l’unico che lo può fare per rendere la tua vita interiore qualcosa di più bello che non l’inferno che tante volte vivi di cui mi hai raccontato. Ognuno è chiamato a vincere la sua sfida più difficile: quella con se stesso. Ognuno deve farlo per sé che marciume e grandezza non mancano mai.
Ogni bene, caro Michele.
Francesco De Rosa
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fotosintesi di un floppy disk















