Fu un grande e Sommo Poeta. 700 anni dopo la morte di Dante Alighieri oggi è il primo “Dantedì”

di francesco de rosa |


Pochi giorni fa, chiamato a commentare la grandezza di Dante Alighieri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha esitato a dire… «Io credo che l’universalità e, insieme, la bellezza di Dante vadano ricercate proprio nella particolare attitudine di penetrare nel profondo nell’animo umano, descrivendone in modo coinvolgente moti, sentimenti, emozioni. I vizi che Dante descrive — la tendenza al peccato, secondo la sua concezione filosofica e religiosa — sono gli stessi dall’inizio della storia dell’uomo: avidità, smania di potere, violenza, cupidigia… . La Commedia ci attrae, ci affascina, ci interroga ancora oggi perché ci parla di noi. Dell’essenza più profonda dell’uomo, fatta di debolezze, cadute, nobiltà e generosità. Basta pensare ai tanti passi della Divina Commedia entrati nel lessico quotidiano e che utilizziamo senza sapere, sovente, che provengono dai suoi versi… . Dante ha fermissimi convincimenti religiosi che lo obbligano a conformarsi completamente al disegno e alla giustizia di Dio. Nondimeno, durante quello straordinario viaggio che è la Divina Commedia, di fronte alle anime di dannati o di beati, l’autore non si spoglia mai del sentimento — umanissimo — della compassione. Credo che in questo dilemma, straordinariamente impegnativo, tra giustizia e compassione, vada forse oggi ricercato uno dei lasciti più importanti della lezione dantesca». E, in fondo, quei tre libri che ci presentavano nel percorso della scuola dell’obbligo scoraggiavano tutti ma a tutti non era del tutto chiaro quanta e quale bellezza c’era nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso di Dante. Umana commedia che ha saputo raccontare, per merito del sommo poeta fiorentino ciò che di meglio non si poteva dire di noi umani.

Eppure di Dante e di ciò che ha scritto c’è sempre da scoprire qualcosa anche oggi, 25 marzo, la data che i dantisti riconoscono come l’inizio del viaggio nell’aldilà descritto  letterariamente nella “Divina Commedia”. Oggi, 25 marzo, che da quest’anno è il Dantedì con tutta la valenza simbolica che c’è nel settimo centenario della morte del padre della lingua italiana. Dante Alighieri nacque infatti nel 1265 e morì nel 321). Così lo scorso anno il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Cultura, Dario Franceschini, volle istituire di questo giorno, il Dantedì, il giorno in cui ci parla, scrive, riflette, approfondisce l’eredità immensa che ci viene dal poeta fiorentino. Doveva dare eco anche alla data che i dantisti riconoscono come l’inizio del viaggio nell’aldilà descritto  letterariamente nella “Divina Commedia”. Quest’anno il Dantedì ha una valenza simbolica ancora maggiore, perché cade in occasione del settimo centenario della morte del padre della lingua italiana, che in tutta Italia, per tutto il 2021, viene celebrato con centinaia di  eventi. E nonostante i divieti di manifestazioni in presenza, le scuole chiuse e la pandemia da Covid ancora in atto, l’Italia e gli italiani (ma non solo) si mobilitano per parlare di Dante, del suo genio creativo, della sua capacità di “inventare” la nostra lingua italiana. Senza di lui probabilmente la nostra stessa identità nazionale sarebbe oggi diversa.

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In Argentina, America del Nord, in Brasile come nei diversi Paesi del Nord Europa o in tanti altri posti del mondo se c’è la voglia di imparare l’italiano, per poco che sia, è anche grazie alla bellezza delle opere di Dante Alighieri che raccontano, non solo con la “Divina Commedia”, il suo tempo, un Medioevo, così diverso eppure così simile al nostro tempo. Storia di lotte tra fazioni, di verità negate, di cupidigie e veleni, di corruzioni politiche, miserie e povertà dell’animo dell’animo, di falsità e arrivismi. E lui, Dante, il Sommo Poeta, che fu capace di provare la compassione dei grandi e di raccontare ciò che vide e capì senza costituirsi a tribunale. Usò la pietà della condizione umana e lo stile straordinario della sua fede mai oscurantista o vendicativa. Nessun privilegio per chi credeva in Dio come lui. Dio per lui era bellezza, amore incondizionato verso la condizione degli umani. Ma anche giustizia,

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Nelle intenzioni di chi ha voluto istituire, il 25 marzo, il Dantedì “c’è la volontà di ravvivare, ogni anno, la memoria del Poeta, il cui ricordo è vitale per la stessa sopravvivenza della nostra identità nazionale”, ha detto il professore Carlo Ossola, che è presidente anche del  Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni della morte di Dante Alighieri che cadono questanno. Titolare della cattedra di letterature moderne dell’Europa neolatina al Collège de France a Parigi Carlo Ossola ha profuso in questi anni le sue energie anche per far luce sulla eredità dantesca. La “Divina Commedia”, ha auspicato Ossola, “deve essere, per gli italiani, in  ogni famiglia, come il presepe”. “Mi auguro che, entro la fine anno,  il Ministero dell’Istruzione faccia dono di una ‘Commedia’ per ogni scolaro della nostra Repubblica”.  Gli ha fatto eco il professore Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, che ha voluto sottolineare la iniziativa. “Celebrare Dante non è solo fare  memoria di un grande poeta. Perché Dante non è solo uno scrittore ma è un simbolo letterario dell’idea stessa di nazione, dell’idea di Italia. E Dante è il grande autore italiano che ha una statura internazionale riconosciuta in tutto il mondo, dalla Cina all’Australia. Parlare di Dante è parlare dell’Italia”. Benigni lo aveva già fatto i diverse occasioni anche televisive. Quest’anno lo legge al Quirinale il “suo” Dante in occasione delle celebrazioni per il Dantedì alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del ministro della Cultura, Dario Franceschini. In diretta su RaiUno, alle 19.10, Roberto Benigni legge il XXV Canto del Paradiso nel Salone dei Corazzieri al Quirinale.

Un tuffo nella sua biografia e ci appare per intero un segmento della storia italiana degli albori. Così come dice una nota. “Figlio di Alighiero II degli Alighieri e di Bella, Dante apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà guelfa fiorentina. Il suo primo e più importante maestro di arte e di vita è Brunetto Latini, che in questi anni ha una notevole influenza sulla vita politica e civile di Firenze. Dante cresce in un ambiente “cortese” ed elegante, impara da solo l’arte della poesia e stringe amicizia con alcuni dei poeti più importanti della scuola stilnovistica: Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia, condividendo con loro un ideale di cultura aristocratica e di poesia raffinata. Nel 1285 sposò Gemma di Manetto Donati da cui ebbe tre o quattro figli. Al 1274 risale il primo incontro con Beatrice a cui Dante è legato da un amore profondo e sublimato dalla spiritualità stilnovistica. Di questo amore, cantato nelle Rime e nella Vita Nuova, pochi sono i fatti accertati: sembra però che la morte di Beatrice, nel 1290, lo abbia gettato in una profonda crisi religiosa e che da questa si sia ripreso dedicandosi agli studi. Dante partecipò attivamente alla vita politica fiorentina, iscrivendosi alla corporazione dei medici e degli speziali. Firenze era allora teatro di feroci lotte tra due fazioni guelfei Bianchi, che perseguivano una politica di autonomia, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi, e i Neri, legati da interessi mercantili al papato e guidati dalla famiglia dei Donati. Le manovre politiche di papa Bonifacio VIII spinsero Dante a schierarsi coni Bianchi. Nel 1301, proprio mentre a Firenze arrivava Carlo di Valois e il partito dei Neri prendeva il sopravvento (sostenuto dal papato), Dante è a Roma, alla corte di Bonifacio VIII. Inizia così una feroce repressione politica: Dante, accusato di corruzione, viene sospeso dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una pesante ammenda. Poiché Dante non si presenta davanti ai giudici, viene condannato alla confisca dei beni e al rogo qualora si fosse fatto trovare sul territorio del Comune di Firenze. È così costretto a lasciare la sua città con la coscienza di essere stato beffato da Bonifacio VIII. Dante cercò di collegarsi con gli altri Bianchi, ma disgustato poi dall’inconcludenza dei suoi compagni, si isolò, rassegnato a cercare una sistemazione per sé e la sua famiglia presso le corti dell’Italia settentrionale. Sono anni di intenso lavoro: oltre alla Commedia, scrive il Convivio e il De Vulgari Eloquentia. Nel 1310 con l’arrivo in Italia di Arrigo VII, Imperatore del Sacro Impero, nel poeta si riaccende la speranza di rientrare a Firenze, ma Arrigo muore improvvisamente. Negli anni successivi, Dante fu ospite di Cangrande della Scala presso cui si trattenne fino al 1318 o al 1320. Si ignorano i motivi che lo spinsero poi a lasciare Verona per Ravenna, dove fu ospite di Guido Novello da Polenta e dove morì tra il 13 e il 14 settembre del 1321″.

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